Intervista ad Anna Maria Lella, autrice dell’opera “Una famiglia normale”.
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24/01/2025 | Bookpress
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Anna Maria Lella è nata in un paesino di mare sulla costa ionica e da diversi anni vive in provincia di Milano; laureata in giurisprudenza, ha studiato scrittura e criminologia. Ha pubblicato le opere “Inno alla vita” (Europa Edizioni, 2019), “L'oscurità dell'anima” (Giovane Holden Edizioni, 2020), “La doppia faccia del perdono” (Giovane Holden Edizioni, 2023) e “Una famiglia normale” (Provaci Ancora Bill Editore, 2024).
«Ci presenta il suo nuovo romanzo “Una famiglia normale”? A quale genere letterario appartiene?»
La protagonista del romanzo, Elisa, sedici anni, vive in una zona bella di Milano, chiamata la Buraco milanese, a un passo dal Duomo. La sua è una famiglia impeccabile: genitori di successo e un fratellino esemplare. Il suo fidanzato, Oscar, l'ama profondamente. Dentro questa vita ordinaria divampa una realtà sconnessa, perturbata e paranoide, dove si nascondono ombre oscure e segreti inconfessabili. Un'idea, un pensiero malvagio, qualcosa di inquietante s'insinua nella mente della ragazzina, innestando un perverso congegno a orologeria, che sfocerà nel fatto di cronaca da cui il romanzo trae spunto. Il finale è gelido e ineluttabile. “Una famiglia normale” appartiene al genere Narrativa/Crime.
«“Una famiglia normale” è ispirato da un caso di cronaca nera realmente accaduto in Italia agli inizi del 2001. Questi sono i fatti: una ragazza adolescente uccise barbaramente sua madre e il fratellino undicenne nella loro casa di famiglia, aiutata dal suo fidanzato. Perché la sua scelta è ricaduta proprio su questo drammatico fatto di cronaca? Cosa l'ha colpita in particolar modo rispetto ad altri casi crime nostrani?»
Mi ha colpito l'analisi del movente che ha spinto Elisa a voler uccidere la sua famiglia, e Oscar a seguirla in questo piano. L'amore tossico, il bisogno di libertà. In sostanza colpisce l'assenza di un vero movente. L'unica nota rilevante, che in parte giustifica l'atroce delitto, è la diagnosi di narcisismo covert, nel caso di Oscar, e quella di narcisismo maligno, per quanto riguarda Elisa. Mi ha colpito la scoperta di Elisa di un'altra sé che non conosceva.
«Nel suo romanzo lei affida al punto di vista dell'esecutrice dei delitti, Elisa (nome di fantasia), il compito di raccontare la sua storia. La narrazione si sposta tra il passato della giovane, in cui si approfondiscono i giorni precedenti al tragico evento e il momento degli omicidi, e il presente, in cui un'Elisa trentasettenne, ormai libera dalla sua condanna, ripercorre i fatti cercando di dare ordine ai suoi pensieri e di trovare una motivazione alle sue azioni. Quanto è stato difficile, ma probabilmente anche affascinante, porsi nella prospettiva di un'assassina?»
Scrivere un romanzo è sempre un viaggio non sai dove ti condurrà. Ho cercato di comprendere, partendo dalla realtà dei fatti, la mente di una ragazzina analizzata da lei stessa ormai donna, e ho scoperto un mondo popolato da fantasmi, attraverso il racconto in cui ero parte integrante, anzi Elisa stessa. Ho indagato l'alienazione dell'uomo moderno all'interno della famiglia e della società, che si traduce nell'isolamento e nell'incomunicabilità. Ho affrontato il dramma dell'uomo moderno di cui parla Kafka in “La metamorfosi.” Confesso che costruire il personaggio di Elisa è stato difficile, pericoloso, ma affascinante. Scrivere una storia così cupa significa navigare sotto un cielo scuro, conoscere il peggio che alberga in noi.
«Dal suo romanzo: “Da qualche tempo dubitavo di me. In casa tutti dubitavano della mia sanità mentale. Allora mi chiedo: il folle è consapevole di esserlo? O i pazzi sono coloro che vogliono convincerlo della sua follia per salvaguardare la loro esistenza priva di senso? Non ho una risposta ora come allora. Non ho mai saputo dirlo. Posso solo affermare con certezza che i fantasmi esistono e indirizzano le tue azioni verso il bene o verso il male”. Il punto di vista di Elisa, nel corso della narrazione, non è viziato dalla ricerca di pietà o di assoluzione: la donna è molto lucida e fredda nel raccontare gli eventi che hanno portato al duplice delitto, e in certi frangenti non sembra neanche pentita del suo atroce gesto. Qual è lo scopo che ha voluto conferire al viaggio di Elisa nei ricordi di quel giorno funesto?»
Lo scopo è chiarito da Elisa. “Il mio nome è Elisa D'Agostino. Di me si è tanto parlato nei giornali e nelle riviste e ancora si parla durante le vostre cene di lavoro, la famigerata e leggendaria Elisa D'Agostino. Credo sia dunque tempo che mi difenda, che mi dedichi a una lunga opera di smitizzazione. Ma non mi scuserò. Non si può chiedere scusa per un mistero.” Elisa vuole semplicemente essere ascoltata. Non chiede perdono, anche il perdono è un potere, chiedere perdono è esercitare un potere. Continuerà a raccontare la sua storia. “Raccontarti qualcosa significa credere in te e nella tua capacità di comprendere. Se racconto esisto, tu esisti. Lo so che non ti piacerà che non ci sia pentimento da parte mia e che forse lo rifarei.
«La sua opera è estremamente accurata: per chi conosce il caso di partenza, si riscontra una grande perizia nel riportare ogni dettaglio, sebbene i nomi dei luoghi e delle persone siano stati comprensibilmente cambiati. Come ha gestito il reperimento delle fonti e quali ricerche ha effettuato? Ha avuto anche modo di parlare con la vera Elisa o con persone vicine a lei?»
Ho attinto le informazioni del caso dai quotidiani dell'epoca. Non ho conosciuto i veri protagonisti della storia, di loro si sa ben poco. Il profilo di Elisa l'ho inventato, di vero c'è solo il fatto di cronaca.
«Nel romanzo viene più volte ripetuta da Elisa una frase in lingua tedesca: “Einmal ist keinmal”. Vuole spiegarci cosa significa e come si collega alla storia da lei narrata?»
“Einmal ist Keinmal,” Una volta non è mai è una frase tratta da un romanzo di Milan Kundera, scomparso nel 2023, “L'insostenibile leggerezza dell'essere.” Elisa spiega perché ripete più volte questa frase. “No, non saprò mai se ho agito bene. Non potrò mai appurare quale decisione sia stata buona e quale quella cattiva. Non mi è data una seconda vita e nemmeno la vorrei. Ciò che si verifica una sola volta è come se non fosse mai accaduto.” Alla luce di questa frase, Elisa si autoafferma, cerca di convincersi che ciò che ha fatto è giusto, non avendo la possibilità di una seconda, terza vita: “Una volta non è mai” ciò che è accaduto una sola volta è come se non fosse mai accaduto.
«Lei è alla sua quarta pubblicazione. Tra le sue opere colpisce l'attenzione, forse per la probabile attinenza tematica con il suo ultimo libro, il romanzo “L'oscurità dell'anima”, edito nel 2020. Vuole raccontarci di cosa tratta?»
“L'oscurità dell'anima” indaga il lato oscuro dell'anima, è un romanzo thriller e horror. Dal 1630 aleggia su Milano la leggenda del Diavolo di Porta Romana, un uomo che, nel pieno dell'epidemia di peste non perse occasione di festeggiare. Ritenevano che Ludovico Acerbi fosse Satana in persona. Il suo nome ha alimentato secolo dopo secolo leggende e storie e ha ispirato il mio romanzo. Ciò che lega “L'oscurità dell'anima” e “Una famiglia normale” è la consapevolezza che il male esiste. La parte che di noi appare è niente in confronto con l'altra parte, la parte invisibile di noi, che si espande immensa.
«Ci presenta il suo nuovo romanzo “Una famiglia normale”? A quale genere letterario appartiene?»
La protagonista del romanzo, Elisa, sedici anni, vive in una zona bella di Milano, chiamata la Buraco milanese, a un passo dal Duomo. La sua è una famiglia impeccabile: genitori di successo e un fratellino esemplare. Il suo fidanzato, Oscar, l'ama profondamente. Dentro questa vita ordinaria divampa una realtà sconnessa, perturbata e paranoide, dove si nascondono ombre oscure e segreti inconfessabili. Un'idea, un pensiero malvagio, qualcosa di inquietante s'insinua nella mente della ragazzina, innestando un perverso congegno a orologeria, che sfocerà nel fatto di cronaca da cui il romanzo trae spunto. Il finale è gelido e ineluttabile. “Una famiglia normale” appartiene al genere Narrativa/Crime.
«“Una famiglia normale” è ispirato da un caso di cronaca nera realmente accaduto in Italia agli inizi del 2001. Questi sono i fatti: una ragazza adolescente uccise barbaramente sua madre e il fratellino undicenne nella loro casa di famiglia, aiutata dal suo fidanzato. Perché la sua scelta è ricaduta proprio su questo drammatico fatto di cronaca? Cosa l'ha colpita in particolar modo rispetto ad altri casi crime nostrani?»
Mi ha colpito l'analisi del movente che ha spinto Elisa a voler uccidere la sua famiglia, e Oscar a seguirla in questo piano. L'amore tossico, il bisogno di libertà. In sostanza colpisce l'assenza di un vero movente. L'unica nota rilevante, che in parte giustifica l'atroce delitto, è la diagnosi di narcisismo covert, nel caso di Oscar, e quella di narcisismo maligno, per quanto riguarda Elisa. Mi ha colpito la scoperta di Elisa di un'altra sé che non conosceva.
«Nel suo romanzo lei affida al punto di vista dell'esecutrice dei delitti, Elisa (nome di fantasia), il compito di raccontare la sua storia. La narrazione si sposta tra il passato della giovane, in cui si approfondiscono i giorni precedenti al tragico evento e il momento degli omicidi, e il presente, in cui un'Elisa trentasettenne, ormai libera dalla sua condanna, ripercorre i fatti cercando di dare ordine ai suoi pensieri e di trovare una motivazione alle sue azioni. Quanto è stato difficile, ma probabilmente anche affascinante, porsi nella prospettiva di un'assassina?»
Scrivere un romanzo è sempre un viaggio non sai dove ti condurrà. Ho cercato di comprendere, partendo dalla realtà dei fatti, la mente di una ragazzina analizzata da lei stessa ormai donna, e ho scoperto un mondo popolato da fantasmi, attraverso il racconto in cui ero parte integrante, anzi Elisa stessa. Ho indagato l'alienazione dell'uomo moderno all'interno della famiglia e della società, che si traduce nell'isolamento e nell'incomunicabilità. Ho affrontato il dramma dell'uomo moderno di cui parla Kafka in “La metamorfosi.” Confesso che costruire il personaggio di Elisa è stato difficile, pericoloso, ma affascinante. Scrivere una storia così cupa significa navigare sotto un cielo scuro, conoscere il peggio che alberga in noi.
«Dal suo romanzo: “Da qualche tempo dubitavo di me. In casa tutti dubitavano della mia sanità mentale. Allora mi chiedo: il folle è consapevole di esserlo? O i pazzi sono coloro che vogliono convincerlo della sua follia per salvaguardare la loro esistenza priva di senso? Non ho una risposta ora come allora. Non ho mai saputo dirlo. Posso solo affermare con certezza che i fantasmi esistono e indirizzano le tue azioni verso il bene o verso il male”. Il punto di vista di Elisa, nel corso della narrazione, non è viziato dalla ricerca di pietà o di assoluzione: la donna è molto lucida e fredda nel raccontare gli eventi che hanno portato al duplice delitto, e in certi frangenti non sembra neanche pentita del suo atroce gesto. Qual è lo scopo che ha voluto conferire al viaggio di Elisa nei ricordi di quel giorno funesto?»
Lo scopo è chiarito da Elisa. “Il mio nome è Elisa D'Agostino. Di me si è tanto parlato nei giornali e nelle riviste e ancora si parla durante le vostre cene di lavoro, la famigerata e leggendaria Elisa D'Agostino. Credo sia dunque tempo che mi difenda, che mi dedichi a una lunga opera di smitizzazione. Ma non mi scuserò. Non si può chiedere scusa per un mistero.” Elisa vuole semplicemente essere ascoltata. Non chiede perdono, anche il perdono è un potere, chiedere perdono è esercitare un potere. Continuerà a raccontare la sua storia. “Raccontarti qualcosa significa credere in te e nella tua capacità di comprendere. Se racconto esisto, tu esisti. Lo so che non ti piacerà che non ci sia pentimento da parte mia e che forse lo rifarei.
«La sua opera è estremamente accurata: per chi conosce il caso di partenza, si riscontra una grande perizia nel riportare ogni dettaglio, sebbene i nomi dei luoghi e delle persone siano stati comprensibilmente cambiati. Come ha gestito il reperimento delle fonti e quali ricerche ha effettuato? Ha avuto anche modo di parlare con la vera Elisa o con persone vicine a lei?»
Ho attinto le informazioni del caso dai quotidiani dell'epoca. Non ho conosciuto i veri protagonisti della storia, di loro si sa ben poco. Il profilo di Elisa l'ho inventato, di vero c'è solo il fatto di cronaca.
«Nel romanzo viene più volte ripetuta da Elisa una frase in lingua tedesca: “Einmal ist keinmal”. Vuole spiegarci cosa significa e come si collega alla storia da lei narrata?»
“Einmal ist Keinmal,” Una volta non è mai è una frase tratta da un romanzo di Milan Kundera, scomparso nel 2023, “L'insostenibile leggerezza dell'essere.” Elisa spiega perché ripete più volte questa frase. “No, non saprò mai se ho agito bene. Non potrò mai appurare quale decisione sia stata buona e quale quella cattiva. Non mi è data una seconda vita e nemmeno la vorrei. Ciò che si verifica una sola volta è come se non fosse mai accaduto.” Alla luce di questa frase, Elisa si autoafferma, cerca di convincersi che ciò che ha fatto è giusto, non avendo la possibilità di una seconda, terza vita: “Una volta non è mai” ciò che è accaduto una sola volta è come se non fosse mai accaduto.
«Lei è alla sua quarta pubblicazione. Tra le sue opere colpisce l'attenzione, forse per la probabile attinenza tematica con il suo ultimo libro, il romanzo “L'oscurità dell'anima”, edito nel 2020. Vuole raccontarci di cosa tratta?»
“L'oscurità dell'anima” indaga il lato oscuro dell'anima, è un romanzo thriller e horror. Dal 1630 aleggia su Milano la leggenda del Diavolo di Porta Romana, un uomo che, nel pieno dell'epidemia di peste non perse occasione di festeggiare. Ritenevano che Ludovico Acerbi fosse Satana in persona. Il suo nome ha alimentato secolo dopo secolo leggende e storie e ha ispirato il mio romanzo. Ciò che lega “L'oscurità dell'anima” e “Una famiglia normale” è la consapevolezza che il male esiste. La parte che di noi appare è niente in confronto con l'altra parte, la parte invisibile di noi, che si espande immensa.
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