Bassifondi di caffè

Bassifondi di caffè

Quando a 18 anni Jack Russell mi propose per gioco di fare visita ad una specie di vecchia fatucchiera di Barivecchia mi feci una grassa risata, ma subito dopo mi venne una gran voglia di mandare a fare in culo quel tizio. Non mi piaceva l'idea di andare da qualcuno e lasciare che egli dicesse che cosa avverrà nella mia vita. Ah no, a far quello ci provavano già genitori, stato e scuola. Bastavo io a tenere il timone in mano e dirigerlo verso gli scogli. E poi quella vecchina l'avevo già vista: era la nonna di uno spacciatore di erba che conoscevo, e fino ad allora per campare aveva fatto orecchiette per i ristoranti della zona. Ora forse era diventata troppo vecchia e si era inventata quell'attività per tirar su qualche lira. Era veramente troppo: rifiutai sgarbatamente e fine della storia. Non avevo certo bisogno di un altro nocchiere. A pagamento, tra l'altro.
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Nei giorni seguenti, però, mi accorsi di pensare di tanto in tanto a quella vecchia.
“Fregasse qualcun altro. Non ci sono soldi per lei”, “Vecchia befana, ma che si è messa in testa?”. Intanto però ci pensavo. Ed era un pensiero che si faceva sempre più insistente, una specie di attrazione inesorabile che si incunea inaspettatamente dentro di noi, come avviene quando non vogliamo ammettere che qualcosa ci piace nonostante vada contro i nostri ideali o intenzioni dichiarate.
Alla fine inghiottii d'un fiato la mia dose di prese per il culo da parte di Jack e mi feci portare da lei, curioso ma convinto a sputtanarla alla prima cazzata. Raggiungemmo la zona del porto e da li' entrammo a Barivecchia. Attraversammo Piazza San Pietro (un nome un po' beffardo per quella piazza, chi sa vivere ha capito perché) e ci perdemmo in un dedalo di stradine. Ovunque chiesette, affreschi di santi e piccole statue datate secoli si mischiavano a candele votive da poche lire, madonnine di plastica con tanto di lucina azzurra e motorini parcheggiati alla meno peggio. Sui piccoli balconcini di quelle casette ammassate una sull'altra il vento faceva ondeggiare dei teloni di plastica opaca, calati dal piano superiore, che coprivano interamente il balcone, rendendolo di fatto una veranda improvvisata. In quelle piccole case abitate da famiglie numerose, dove a volte si inizia a partorire a 16 anni, ogni metro quadrato in più è un tesoro inestimabile.
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Alla fine arrivammo dalla vecchia. Chiedemmo di lei ai tanti sguardi interrogativi che ci scrutavano e la raggiungemmo in un sottano impregnato di umidità e sugo di braciola. La casa era modesta ma dignitosa, e sugli scaffali a vetrina di un armadio c'era una sfilza di foto di parentame defunto. Le famiglie patriarcali hanno tanti bimbi rompicoglioni che urlano per tutta la casa (fino ai 6 anni, poi vanno a urlare nelle strade) ma anche tanti anziani che prima di morire non lesinano pose orgogliose col mento in alto, e infatti gli estinti avevano tutti la stessa espressione fiera alla Bismarck.
Quella vecchia era seduta su una poltroncina mezza sfondata e non ci venne incontro ma ci disse di accomodarci. Anzi lo disse solo a me, dopo avermi fissato per qualche secondo, dicendo a Jack di aspettarmi fuori.
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La cosa mi spiazzò, e ancora di più mi confuse il fatto che la prima cosa che chiarì, in un italiano stentato, dopo aver chiesto il mio nome era che non voleva soldi. Come se avesse, anche se so che era impossibile, intuito i miei pensieri dei giorni precedenti. Dopo, quella donna che poteva avere 90 anni come 60 iniziò a manovrare una piccola scodella di porcellana e a guardarci dentro, intonando sottovoce una litania che sembrava dialetto ma poteva essere davvero qualsiasi lingua, passata o presente, del mondo (e forse lo era). Iniziai, tra l'inquieto e il curioso, a sbirciare nella scodella e alla fine vidi che sul fondo di essa c'era polvere di caffè usata. La vecchina mi disse di non aver paura (ed era la seconda volta che mi sgamava) e dopo un po' di silenzio iniziò a raccontarmi la mia vita passata, presente e futura, lasciandomi senza fiato per venti minuti. Infine mi sorrise, mi fece una piccola carezza e mi disse di andare. Uscii imbambolato e rimasi cosi' per ore e ore, con Jack che all'inizio mi canzonava, ma poi si inquietò parecchio. Più in là seppi che era tornato dalla vecchia più volte chiedendole i suoi servigi, ma fu sempre respinto.
Di quanto mi riferì quell'anziana signora alcune cose devo dire, a 13 anni di distanza, che non erano proprio esatte, ma moltissime altre le prese in pieno, anzi in pienissimo. Cosa mi disse non lo racconterò di certo qui, sono fatti miei. Posso solo dire che tra le tante rivelazioni affermò che ero un animo inquieto ed estroverso, che amava stare per la strada e agire senza pensare troppo, con tanta smania di vivere, e che mi piaceva scrivere. Gli risposi che si, era vero, e scrivere mi piaceva molto, e lei mi rispose di non smettere mai. Devo dire che l'ho ascoltata.
Di quella vecchia e di quel giorno ho un ricordo un po' confuso dopo tutto questo tempo, non saprei tornare in quella casa e penso che ormai quell'anziana sia entrata a far parte di quell'album fotografico che c'era in quella vetrinetta. Ma ogni volta che vedo dei fondi di caffè cerco di capire cosa vorranno mai significare, e penso a lei.
Filippo Campobasso
filippo.campobasso@libero.it
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